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tranquillità, e Franco non udì quasi più rumore di colpo, di modo che si assopì pensando che tutto fosse finito.
Si svegliò l'indomani mattina in mezzo a un baccano d'inferno. Rivolto lo sguardo intorno, vide uno solo dei due infermieri, accovacciato ai piedi della sua branda.
— Che c'è dunque? — domandò balzando a sedere sulla cuccetta.
— Non si muova, signor Tenente, per carità! Il medico ha detto che non la devo far muovere.
— Ma che avviene? Fuori si combatte, no?
— Sì, signor Tenente: una battaglia d'inferno: e i nostri muoiono senza risparmio.
— C'è l'assalto a S. Osvaldo, allora?
— C'è, signor tenente. È già la seconda volta che conquistiamo la posizione e la riperdiamo. Il capitano fa prodigi, ma purtroppo....
— Ma allora io devo andare... — e Franco provò a buttarsi giù dal suo giaciglio, mentre il porta-feriti cercava di afferrarlo pei polsi e tenerlo immobile. Fu una breve lotta, nella quale la fasciatura alla spalla si allentò, e il sangue uscì a fiotti inondandogli tutta la camicia.
— Vede, vede, signor tenente, che non può... che non deve... Lei è ferito... Lei sta male...