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to in cui la morte allunga i suoi artigli verso una preda. Col capo affondato nelle maniche, sentendosi nel sangue tutto il plenilunio e nell'anima il fiotto immenso del pericolo, egli lasciò che Maura, la bellissima amante perduta, la carne più calda, più violenta, più vibrante, più voluttuosa ch'egli avesse mai conosciuta, gli si presentasse davanti con la prepotenza del suo fascino irresistibile.
Tutta la linea si era destata. La mitragliatrice continuava a sputare la risata sibilante della sua dentiera maligna: le bombe a mano, gettate dai parapetti della trincea, venivano a schizzare contro i reticolati, e circondavano di fiamme rabbiose il piccolo rifugio di Franco. Razzi di una luce abbagliante si ergevano sulla linea come diavoletti con un occhio di magnesio che si rizzino in punta di piedi per vedere lontano. Anche l'artiglieria aveva aperto il suo fuoco sospettoso, sparpagliando i colpi su tutta l'estensione della linea.
E Franco Arbace, disteso con tutto il corpo sui sassi del Carso, la testa affondata nei gomiti, i sensi arroventati dal fiato della morte, evocò in quel momento il primo abbraccio di Maura, laggiù, nel letto fantasioso di Ferrara, in quel giorno di magica esaltazione.
La sua fantasia eccitata da quella notte di