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lissimo strumento di piacere, che dava risatine squillanti di gallinella mattiniera; scoppi di riso brevi e violenti come un fremito, che le faceva chiudere gli occhi ritmicamente; pioggerelle di risate in tono basso, a spruzzi. E da genialoide che trova il modo di sfruttare a proprio vantaggio le più strambe circostanze della vita, provava un gusto incredibile a costruire sulla persona vibrante di Edvige delle pazze sinfonie di riso, armonizzando con arte le voci dei diversi tasti d’amore: come su una tastiera.

E ci si divertivano insieme.

Ma un giorno, alla fine di un lungo amplesso che era stato una sola raffica di vibrazioni convulse, Edvige si sentì male. Schiantata dallo spasimo, s’abbattè bianca, muta, senza sguardo e senza respiro, e parve morta.

Franco ebbe una grande paura: quella di averla uccisa. E infatti la donna, quando rinvenne, traendolo a sè con dolcezza, gli mormorò senza tremare:

— Sai... tanto tempo fa... un medico mi ha detto che dovrò morire così... Mio marito, avvisato, non ha più voluto toccarmi. Per lui, potrei vivere cent’anni.

Fu il loro ultimo colloquio. Per fuggirla, per salvarla, Franco prese il treno la se-