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denza: la tendenza alla violenza, alla conquista, alla metallicità.

Le sue lettere a Glorietta ne furono piene. Erano torrenti di sentimenti e di pensieri, caldi, travolgenti, che volevano rompere ad ogni costo l’austera corazza di trasfigurazione che vestiva la frigidissima vergine.

Ma Glorietta non capiva, non sentiva. Sepolta nell’antichissima casa materna, in cui tutto era statico, freddo, sonnolento, conventuale, non vedeva nelle frasi frementi di vita di Franco, che delle «astrazioni», dei ragionamenti senza appiglio nella sua realtà. I suoi occhi erano tuttora chiusi, i suoi sensi dormivano, il suo cervello solo vegliava, ma come un guardiano severo e inflessibile.

Difatti, come poteva capire Glorietta ciò che era avvenuto nel suo amico? Quale differenza tra l’atmosfera elettrica del fronte, e quella glaciale, ermetica di Ferrara, e delle sue stanze di fanciulla pallidissima!

*

«Ah io non sono un angelo — le scriveva Franco — e amo troppo la mostruosa realtà, per concepire la rinuncia. Mostruosa realtà, bellissima sirena carica di gioielli, vividi e carnosi come baci! Essa è noi. Strana cosa questo disprezzo per la parte più tangibile del nostro essere, che non inganna come il sogno,