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ta la sua casa, la morte vegliasse. Ebbe, come non mai, in quel budello cieco su cui lo stellato trepidava a piombo, la sensazione dell’infinito e dell’immensità di Dio.

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                Amica mia,

Vi scrivo dalle trincee della prima linea. Non aggiungo alcun commento. Voi capite benissimo come io mi trovi, senza che ve lo descriva. Appena giunto, sono stato accolto da un bombardamento infernale. È stato il rumoroso saluto della guerra. D’altronde non mi aspettavo meno di così. È degno di me e della mia volontà di energia.

In questa prima lettera vi darò una volta tanto ragguaglio sulla mia nuova vita, per evitarvi poi la noia stereotipa dei racconti di guerra. Sappiate dunque che passo i miei giorni e le mie notti in un piccolo buco fetido e melmoso, lasciandomi rassegnatamente imbrattare tutta la persona. Di solito in Italia si parla di opere di fortificazione, camminamenti, caverne, ricoveri, doline. Qui non è nulla di tutto ciò. Un canaluccio per acque di scolo, con un rialzo di sassi davanti, e basta. A questo si dà il nome enfatico di trincea. Ma l’allegria non manca. Come affratella il pericolo! Come il disagio rende virili, a-