reggimento che da due mesi teneva la sinistra del Podgora: c’erano dei malati e una leggera epidemia dissenterica. Mentre due Compagnie degli altri battaglioni si distendevano nel settore sgombrato, Franco guardava una a una le facce di quei veterani: eran facce devastate da solchi profondi come unghiate da cui calava una pelle risecchita con certe barbe senza nulla di spontaneo nel loro sviluppo uniforme, torno torno al viso, gli occhi stanchi e cisposi per il troppo vegliare e il continuo allarme, la divisa del fante in pieno disordine resa di un colore indefinibile per il continuo contatto con la terra e la forzata incuria, gli scarponi blindati di fango muratosi sotto e sopra nella prolungata infognatura, i galloni degli ufficiali sostituiti da stellette nascoste nel rovescio della manica, gli elmetti ammaccati, talvolta bucati da pallottole intelligenti, il combattente che usciva dalla trincea poteva ben somigliare all’anacoreta selvicola, con dipinta negli occhi quella tal durezza di spirito e quella tal rudezza di movimenti a cui abitua la persistente presenza del pericolo e la necessità di difendersi uccidendo, fuor da ogni transazione umana. Portavano dipinti sul volto i loro feroci due mesi di trincea, nei quali Franco si specchiava pensando: tra qualche settimana sarò anch’io così; e sorridendo fra sè sbir-