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ca di quella buona ragazza, il pianto: era la sua leva erotica.
Un giorno che egli la fece ridere di gusto con una vivace facezia, ella gli confessò che però per amare aveva bisogno di piangere: ogni volta. Ciò la metteva «in forma», le moltiplicava la sensibilità, le acuiva il desiderio. Aggiunse che quando si trovava fra le braccia di un uomo, anche il più seducente e carino, se per caso fosse stata di umore allegro, come in quel momento di pazzo ridere, non avrebbe avuto il più leggero brivido di amore. Così, in quei casi, era costretta a farsi venire in mente le scene più truci, i ricordi più angosciosi, i dolori più profondi della sua vita, e col loro aiuto, con quello sforzo di sofferenza artificiale, le lagrime sgorgavano copiose e tutte le sue fibre balzavano di straordinaria felicità!
Non era che una forma appena patologica dell’eterno connubio indissolubile del piacere col dolore; e inconsciamente Franco aveva della gratitudine per colei che il destino incaricava di portare in sè questa forma.
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Un’altra, Edvige, aveva lo stile opposto. Donna normalissima ed equilibrata in tutte le altre funzioni dell’esistenza, veniva inva-