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splosiva dove ci si poteva anche pensare ombre senza rilievo, così mezzo rapite dal crepuscolo imminente, sfumate dalla polvere, scorporizzate dalla rombante atmosfera dei motori e delle artiglierie echeggianti. Riusciva a spersonalizzarsi a tal punto da restare impassibile a guardare l’effetto di una cannonata piombata sul margine della strada dove gli autocarri procedevano in fila, mentre volantisti e soldati si buttavano a destra, contro la roccia coperta, giù dall’autocarro sul quale egli restava ridendo, come immobilizzato al sedile. Poi, a un dato punto, in cui la strada s’allargava in un vasto piazzale per iniziare poi la breve salita del Podgora, venne l’ordine di scendere tutti dai camions, che diedero di volta e ripartirono verso la base. S’iniziò la marcia a piedi, su due file ai margini della strada.

Vicino al tramonto, la sfilata degli uomini sorpassava altre sfilate di muli stracarichi di provvigioni o d’acqua o di «cavalli di frisia», tesi con ogni tendine nello sforzo di raggiungere la meta sotto la traiettoria della fucileria, inconsci ma decisi strumenti della battaglia, lucidi di sudore e di volontà, condotti dai mulattieri a piedi, appesi alle briglie con disperata coscienza del pericolo, gli occhi sbarrati in cui l’immagine della morte vagolante nei pressi si specchiava con