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to della realtà concreta, alla quale era rimasto fino allora lontano ed ostile.
Si dedicò con slancio, con eroismo paziente, a tutti i lavori più grossolani, a tutte le fatiche più brutali, a tutti i socrifici più nauseanti. Si sentiva stremare da quello sforzo, ma non indietreggiava davanti ad alcuna brutalità, ad alcuna nausea. Fu a vicenda, spazzino, facchino, sguattero, piantone, carceriere. Vinse ogni giorno una grande battaglia con sè stesso, sulle sue abitudini, sulla sua pigrizia, sulla sua sensibilità di aristocratico.
Certi momenti, si sentì vacillare. Ma bastava che pensasse un istante a Glorietta, perchè tutto il suo coraggio gli tornasse, perchè fosse ripreso da una volontà di sacrificio, di massacro, di inversione. Poi, si divertiva. Era la prima volta che gli accadeva di guardare da vicino le cose, le innumerevoli cose necessarie, che fino allora aveva ignorate o volute ignorare.
Gli aristocratici non conoscono la vita. Sono una minoranza, e quindi limitano a una minoranza anche gli oggetti e le forme del loro mondo. L’istinto della selezione li porta a disconoscere l’esistenza di tutto ciò che riguarda e interessa le masse, per non occuparsi che di quei pochi elementi essenziali e rari di cui si compone la loro sfera d’azione.
Domandate a un aristocratico come si cu-