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Roma, splendida città regina dagli ardori esplodenti come un gran fiore del sud, fu la miniera alla quale egli attinse largamente, il gran Bazar dalle voluttà policrome e multiformi che si rinnova inesauribile.
Franco Arbace visse nella capitale i suoi troppi anni di studente elegante che dell'Università non conosce se non le lezioni di qualche professore alla moda, e tre o quattro di quelle studentesse che per approfondire gli studi di archeologia fanno sopralluoghi notturni al Colosseo, in compagnia di giovanotti magari futuristi.
Fra le innumerevoli avventure di quegli anni, fra gli innumerevoli profili di donne che sfilarono nel suo piccolo appartamento di Via Babuino prima, poi in quello più costoso di Via Boncompagni, qualcuna ebbe un rilievo più marcato, gli impose un ricordo di qualche settimana, lo costrinse, anche dopo la separazione, a tornare davanti a un ritratto con uno sguardo lievemente sfumato di rimpianto.
In mezzo alla folla di attrici, di dame, di mondane, di ballerine, di demi-vierges, di modelle, di manichini, i cui ritratti con dedica erano allineati per ordine cronologico e con cornici dorate o nere o castane, a secon-