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e mesceva energicamente nella gola della donna. Costei lasciava fare, con una contrazione di disgusto, ma con una certa avidità di resuscitante, bevendo, bevendo, bevendo, e rigettando con violenza venata di viola.
Dov’era andato il fascino di Maura? Dove s’era perduta la potenza di quella donna personalissima che un giorno aveva dato a Franco una sensazione di intensità mai conosciuta prima, di quella donna che gli aveva rivelato, nell’amore, l’istinto della forza serena, della sua animalità trionfante, e gli aveva destata nel sangue la coscienza di potere e di sapere amare con l’impeto delle razze primitive? Dov’era più la grande cortigiana fantasiosa che trasformava l’amplesso in una complicatissima opera d’arte?
Dopo tre quarti d’ora, l’emetico cominciò a non avere più tracce violette; Maura allora si abbandonò sulla sedia, mezzo svenuta.
Franco dovè dare al medico, e poi a un questurino, le sue generalità e quelle di Maura. L’interrogatorio di costui finì di colmare il suo disgusto. Quell’uomo che chiedeva senza riguardi il motivo dell’avvelenamento, e si mostrava esperto di questi casi, penetrando con la sua ricerca nell’intimità degli amanti, nei loro rapporti sentimentali, ricostruendo scene di discordia, e facendo una specie di morale erotica col tono presuntuo-