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to. Le dita di Franco si agitarono con più forza. Il veleno traboccò tutto, schizzò sui mobili, sulla vestaglia di Maura, sulla giacca di Franco. Era un veleno orribile e suggestivo; violaceo: colore del vomito, della vinaccia, dei crepuscoli sporchi. Pareva il frutto di una ubriacatura vendemmiale. Franco ne ebbe una sensazione rovinosa.
Mentre rimestava sempre più energicamente con due dita la gola della donna, sentì che simultaneamente al fiotto di veleno che scendeva di là, un fiotto di odio iroso saliva alla sua gola. Quella donna che rigettava schifosamente il suo attimo di follia tragica, del quale aveva avuto paura, quella donna che aveva chiamato la morte e poi era fuggita davanti ad essa, gli fece orrore. Quel liquido denso e sporco che schizzava ferocemente dappertutto, spargeva in quella stanza la sensazione della viltà, della miseria, della sudiceria, del pessimismo. Quel veleno rifiutato avvelenava col suo colore, col suo rutto, con la sua schiuma orrenda, quella giornata eroica in cui Franco stava per staccarsi dal suo passato per slanciarsi verso idealità e rinascite meravigliose.
Il vero avvelenato fu lui. Fu il suo spirito che cercava di isolarsi nella trasfigurazione di tutti i suoi amori, furono le sue vene assetate di gesti supremi e di battiti eroici, che