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do di idealismo che trasfigurava anche agli occhi suoi il sudicio, brutale e gelido organismo militare.
Già nelle giornate del maggio che precedettero la dichiarazione di guerra, scendendo con Maura per le vie del centro, s’era trovato più volte all’improvviso sbalzato in piena dimostrazione: e il contatto di quella folla generosa e schiettamente italiana di studenti, di lavoratori, d’impiegati, che avevano lasciato la scuola, l’officina, l’ufficio per scendere in piazza a gridare: «Vogliamo la guerra! Abbasso l’Austria!» gli era parso che accelerasse il ritmo della sua vita. La folla ripeteva con cadenza terribile di condanna il ritornello «Morte a Giolitti» morte all’uomo che rappresentava la tendenza neutrale burocratica e vigliacca in cui non poteva affogare la nostra sete di grandezza. Tutto ciò gli aveva agitato nel cuore uno stimolo nuovo: quello di slanciarsi, di entrare nella dimostrazione, di agitarsi e di gridare con essa.
Aveva sentito più tardi che un’ora decisiva e irrevocabile era scoccata per il suo paese, e che anch’egli, come tutti, non avrebbe più potuto separare il proprio destino da quello della Nazione che marciava verso l’avvenire con uno sfavillio di bellezza ideale.
Fu dunque incerto lungamente se prendere o no una decisione. Decidersi, per lui che