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trovò ancor più innamorati: Franco di Gloria, Maura di Franco, e Mario di Maura. Ciascuno troppo preoccupato della propria sofferenza, per interessarsi a quella degli altri. Tuttavia – poichè la loro vita era ormai tutta in comune — vi erano momenti in cui essi, riuniti nel salotto attorno a un tavolino, sentivano di sorbire da tre tazze ugualmente dipinte, con lo stesso the e lo stesso zucchero, la stessa angoscia avvelenatrice. Il liquido uscito dallo stesso samovar e versato in tre tazze separate, somigliava al loro dolore derivante dalla stessa unica fonte: l'amore irraggiungibile.
Col tempo infatti i loro caratteri così diversi si erano un poco assimilati e le intenzioni primitive si erano livellate. Essi erano come tre mendicanti davanti a una enorme porta di ferro, spietatamente chiusa. L'unica differenza stava in questo: che mentre Laura e Mario vivevano a contatto col loro amore, Franco ne era staccato senza speranza. E perciò soffriva molto di più.
Un giorno, a colazione, Maura saltò vivacemente sulle ginocchia di Franco, e gli domandò:
— Mi conduci stasera al Tabarin?
Franco rispose, cupo:
— Non posso.
— E perchè?