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non potevo. Avevo terrore della mia voce. Giravo su e giù. Se fosse strana, e Vanda mi guardasse spaventata?
― Xe in casa mama? ― Ma no, no: avevo domandato con naturalezza e semplicità. Tornai in camera mia. Mi buttai per terra, tenendomi stretta la testa; la chiamai, due volte, tre volte, quattro volte, cinque volte..., e continuai a dire il suo nome lungamente, lungamente, a bassa voce, sempre più piano. Poi mi misi a ninnare: Din, don, campanon ― Tre putele xe sul balcon ― Una la fila, l’altra la canta, ― L’altra la fa putei de pasta ― Una la prega Sior Idio ― che ‘l ghe mandi un bel mario....
Poi non ricordo più. Mi prese il sopore. Mi rialzai dopo pochi minuti e stetti calmo. Non so per dove passai. Ma molte volte ho pregato la pazzia e la morte.
Vorrei farmi legnaiolo della Croazia. Amo le frondose querce e la scure. Andrei al lavoro camminando un po’ storto a destra per l’uso del colpo, e il lungo manico della scure ficcata in cintola mi batterebbe la coscia.
Il capo mi dà una manata sulla spalla, ridendo tra denti bruni. Il capo è forte e esperto e noi gli obbediamo con riconoscenza. A noi piace esser comandati. Il capo beve petecchio come acqua, e non traballa mai, ma andando coi suoi passi ben piantati vigila dall’alba alla notte il lavoro ― e gira per la foresta come una grossa bestia affamata. Se tu non lavori, subito senti dietro alle spalle uno schianto di rami, una risata di cornacchia infuriata e una pedata in mezzo della schiena.