Pagina:Il mio Carso.djvu/97


— 89 —

per me solo. E mi rinserrai il petto con le mani, e fui un sussulto di dolore attorto contro sè stesso. Mi parve di poter morire perchè il mio segreto bruciava avidamente il mio sangue, rosso, come il sole maledetto che tramontava nel mare.


Perchè non lavori? Ricordati che qualcuno ha sperato in te. Ella aspetta, e non è contenta. Ogni minuto che tu implori è un delitto. Pesta il capo dentro il tavolino, ma lavora benedicendola. È giusto che sia morta, perchè tu sei un vigliacco.


Mi sedetti al tavolino, presi la penna, cominciai a fare scarabocchi sulla carta, e facevo freghi con su scritto il suo nome. Improvvisamente mi spaventai e corsi allo specchio. Guardavo fisso i miei occhi e mi domandavo: ― Sono molto lucidi? Ma Vedrani dice che non si può capire dai segni esterni se uno è pazzo. Non sono pazzo. Sta calmo, Scipio. ― Guardavo le cose riflesse nello specchio. Le cose riflesse nello specchio ― per legge fisica ― sono distanti dagli occhi come sono distanti dallo specchio le cose che si riflettono. Cercavo di calcolare se anch’io vedevo così. ― Se mi pesto devo sentire dolore. Ma anche i pazzi lo sentono. Come posso avere una prova esterna che io non sono pazzo? ― Il tappeto nello specchio faceva un angolo con il tappeto reale. Guardavo per la prima volta, come un bimbo. I lunghi fili rossi, i lunghi fili blu. Corsi in stanza da pranzo; c’era Vanda che lavorava. ― Ora parlo. ― Ma