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E i carbonai che dalla maona carrucolano la ceste di carbone sul Baron Gautsch mi guardano con quei loro occhi infossati e sanguinosi meravigliandosi del mio interessamento.

Uno tosse, sputa, l’aria gli riporta sul torso seminudo, impastato di carbone e sudore, i lunghi filamenti di mucco e forse egli pensa stizzosamente che io ho compassione di lui.

No, no: io sono indifferente. Soltanto non capisco. Vedo che si lavora intorno a me. Un bastimento greco imbarca grosse travi; due pescatori issano la grande vela scura, sgocciolante; un gelataio grida la sua merce; uno con gli occhiali neri nota su un libruccio il numero sacchi cemento; un servo di piazza si fa avanti con il carretto rosso; s’accosta, spumando, il vapore di Grado; un manzo tira un vagone carico di balle di cartone. Sul vagone è scritto: Troppau-Triest-Rozzol-Assling. Ora un treno sbuffa su per il colle d’Opcina; un altro arriva a Pola, un altro rintrona sul ponte del Po. L’aria è piena di strepito. Il movimento s’allarga. La terra lavora. Tutta la terra lavora in una grande frenesia di dolore che vuol dimenticarsi. E fabbrica case e si rinchiude tra muri per non vedere reciprocamente i propri corpi avvoltolarsi insonni fra le lenzuola, e si tesse vestiti per poter pensare che almeno il corpo dell’altro è sano e regolare, e congegna milioni di orologi perchè l’attimo l’insegua perpetuamente frustandola avanti nello spazio, come una dannata che si precipiti senza tregua per non cadere. Non fermarti mai per un minuto, o laboriosa terra!