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Allora lei poichè il suo fiato non bastava, accese il fuoco per la prima volta. Il piccolo crebbe e non andava a caccia. Mangiava carne cotta e le notti d’inverno quando si svegliava d’improvviso e non vedeva la fiamma, l’oscurità e il freddo entravano in lui, ed egli pensava strane cose, rabbrividendo. Dalla volta della grotta stillavano gocce, più lente del battere del suo sangue, e come cadevano sullo strame del giaciglio egli sentiva camminare fuori della grotta. Ma molto lontano; chissà, dove, chi era?

Pascolava le capre; si ficcava dentro un cespuglio e guardava il cielo tra le frasche. Un cervo passava annusando, un uccello fischiettava, e quei suoni entravano in lui e si intricavano. Poi dormiva un poco. Poi tornava al calar del sole, e raccontava con parole chiare come le foglie dopo la piova. La sua famiglia l’ascoltava.

Un giorno, mentr’egli raccontava, vennero uomini, il torso come macigno spaccato dal ghiaccio; ammazzarono la famiglia, rubarono il fuoco, e condussero lui in servitù.

Anche altre storie mi raccontai. Ma poi fui stanco, e non potevo dormire. La mia testa erano tanti pensieri rotti che nascevano e svolavano via da tutte le parti, portandomi in mille posti contemporaneamente. Sudavo. Allora m’alzai, mi vestii in furia, intascai il mio coltello a serramanico, e andai. In via Chiadino c’era ancora una coppia d’amanti, e la donna giocava con le dita del compagno che la teneva avvincolata a sè. Io pensai: Quella donna gli può benissimo morire proprio questa notte. ― I cani abbaiavano. Appena su, verso Kluch, dopo la stanga giallonera della dogana, io fui solo e respirai. Camminavo senza pensare.