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Odiava la gente vuota e ingiusta, benchè nei suoi giudizi egli fosse tutto fuoco. Non sopportava le chiacchiere di Veneziani e compagni: ― ...la patria romana,... i venti secoli di civiltà... ― ma la panza per i fighi! Fioi de cani! Ve volevo là quando che subiava. I se la saria fata in braghe. ― Di Garibaldi non l’ho sentito parlar mai, neanche una volta.
Io ho piacere d’aver avuto questo zio. Gli voglio sempre più bene, e qualche volta mi rammarico di esser stato così bimbo, allora, quando viveva, e non averlo conosciuto veramente. Ora qualche sera poggio la testa sulle ginocchia di mamma e mi faccio raccontare di lui.
Mi disse una volta che dieci muloni m’avevano aggredito e tutti i parenti si condolevano del gnocco susinoso lasciatomi in una guancia; mi disse girando gli occhi quasi sbadatamente: ― Spero che no ti sarà restà debitor de assai.
No credo, zio.
Mamma è malata. Io sto sdraiato accanto a lei sul margine del letto, accarezzandole la fronte e le mani. Così passiamo qualche ora.
Ogni tanto ella mi guarda e mi domanda: ― Credi che guarirò? ― Io la sgrido come una bimba e le racconto di quando sarà guarita.
Io vorrei difenderla contro il male e tenerla allegra. Mamma è buona. Ha sofferto assai nella vita, piangendo in silenzio, e cercando di giustificare chi la maltrattava. Non disse mai una parola d’odio, si rinchiuse in sè con i