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tario. Un giovanottino con un neo-tre-peli-lunghi raccontava della campagna a Domokos e della strippata data a Roma per l’anniversario dello Statuto. Perchè la patria era mescolata al risotto alla milanese e all’ipermanganato di potassa al 3%. La patria era per loro come quando i giornali pubblicarono il telegramma della morte di Carducci, e un po’ più in su, un po’ più in sotto, dicevano della neve in Carinzia e dell’ambasciatore francese in viaggio.
Io mi meravigliavo. Io sentivo la patria, esclusiva e sacra. Mi tremava il petto leggendo di Oberdank. Avrei voluto morire come lui.
E seguivo sulla carta geografica le campagne di Garibaldi, commovendomi degli eroi. Garibaldi mi fu un venerato amico e dio. Ancora oggi quando sento parlare storicamente di lui, il cuore mi balza in rivolta. Io sono ancora un bimbo che vorrebbe combattere sotto i suoi occhi.
Ma noi nascemmo in altra generazione. Noi cantammo per le strade:
All’armi, all’armi! Ondeggiano
le insegne giallo e nere.
Fuoco, per dio! sul barbaro,
su le tedesche schiere;
scappammo davanti alle guardie di pubblica sicurezza e lontani, a branchi, continuammo a cantare:
Non deporrem la spada
fin che sia schiavo un angolo
dell’itala contrada.
Non deporrem la spada
fin che sull’alpi Giulie
non splenda il tricolor.