Pagina:Il mio Carso.djvu/63


— 55 —

tario. Un giovanottino con un neo-tre-peli-lunghi raccontava della campagna a Domokos e della strippata data a Roma per l’anniversario dello Statuto. Perchè la patria era mescolata al risotto alla milanese e all’ipermanganato di potassa al 3%. La patria era per loro come quando i giornali pubblicarono il telegramma della morte di Carducci, e un po’ più in su, un po’ più in sotto, dicevano della neve in Carinzia e dell’ambasciatore francese in viaggio.

Io mi meravigliavo. Io sentivo la patria, esclusiva e sacra. Mi tremava il petto leggendo di Oberdank. Avrei voluto morire come lui.

E seguivo sulla carta geografica le campagne di Garibaldi, commovendomi degli eroi. Garibaldi mi fu un venerato amico e dio. Ancora oggi quando sento parlare storicamente di lui, il cuore mi balza in rivolta. Io sono ancora un bimbo che vorrebbe combattere sotto i suoi occhi.

Ma noi nascemmo in altra generazione. Noi cantammo per le strade:


          All’armi, all’armi! Ondeggiano
          le insegne giallo e nere.
          Fuoco, per dio! sul barbaro,
          su le tedesche schiere;


scappammo davanti alle guardie di pubblica sicurezza e lontani, a branchi, continuammo a cantare:


          Non deporrem la spada
          fin che sia schiavo un angolo
          dell’itala contrada.
          Non deporrem la spada
          fin che sull’alpi Giulie
          non splenda il tricolor.