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narchia dalla Polonia alla Grecia, dalla Russia all’Italia. C’era Carlo Quinto e Bismarck. Ognuno di noi sentì questo, e tutti scapparono via interroriti, pallidi, spingendo, urtando, perdendo bastoni e cappelli.

Io rimasi a guardarli con meraviglia. Marciavano dritti avanti, senza sorridere, senza ridere. La gente che scappava era per loro lo stesso che la compatta colonna che marciava per l’università italiana. Io rimasi fermo a guardarli, e fui arrestato.

Un gendarme mi prese per il polso sinistro e andammo. Era una cosa molto strana. Egli continuava a camminare del suo passo; io cercavo d’imitarglielo. Gli occhi della gente che passava mi percorrevan tutto come gocce fredde nella schiena, dandomi un brivido, tanto che il gendarme pensò: Der Kerl hat Furcht. Ma forse non pensò niente, e continuava a camminare del suo passo. Ricordo benissimo che un giovanotto passando estrasse la destra inguantata per arricciarsi il mostacchio destro, poi tirò fuori la sinistra per arricciarsi il mostacchio sinistro. Io avevo voltato la testa per vederlo, sì che, il gendarme procedendo, mi sentii tirare avanti. Una donna, con un bel boa, torse gli occhi, ma vidi che rideva. Perchè mi lascio condurre da questo imbecille?

Ha le spalline grosse, giallonere. Perchè non lasciarmi condurre da lui? Si va dove non so, ma non è necessario ch’io sappia. Mi conduce lui, svolta, scantona, e i miei piedi si pongono sempre paralleli ai suoi. La baionetta scintilla molto lucida. È carico il tuo schioppo?

Perchè non mi risponde? E un garzone di beccaio, invece di far due passi di più, salta oltre la panca di pas-