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trascorre con me, desiderando, oltre il margine roccioso del carso, e sono sopra il mare, la larga strada del vento e del sole.

Io sono nato nella grande pianura dove il vento corre tra l’alte erbe inumidendosi le labbra come un giovane cerbiatto, e io l’inseguivo a mani tese, ed emergevo col caldo viso nel cielo. Lontana è la patria; ma il mare luccica di sole, e infinito è il mondo di là del mare.

E la fertilità della terra sgorga pregna di succo nelle grandi foglie carnose e accende di vermiglio i pomi tondi sulle piante intrecciate fra loro, empiendo di gioia l’anima degli uomini.

Calda è la messe d’oro, e il profumo dei cedri e delle magnolie ha colto l’uomo nella sua fatica, ond’egli s’è ripiegato sulle spighe e dorme ravvolto nel sole.

Pennadoro, nuovovenuto, se tu non dormi, tua è la terra del sole.


Il monte Kâl è una pietraia. Ma io sto bene su lui. Il mio cappotto aderisce sui sassi come carne su bragia; e se premo, egli non cede: sì le mie mani s’incavano contro i suoi spigoli che vogliono congiungersi con le mie ossa. Io sono come te freddo e nudo, fratello. Sono solo e infecondo.

Fratello, su di te passa il sole e il polline, ma tu non fiorisci. E il ghiaccio ti spacca in solchi dritti la pelle, e non sanguini; e non esprimi una pianta per trattenere le nuvole primaverili che sfiorandoti passano oltre e vanno