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Il mosto bolliva nelle botti aperte, sciamante di moscerini ubbriachi. Assorbivo un caldissimo odore asfissiante. Gli uomini s’accendevano. Rovesciarono una brenta piena di mosto, e il vino schizzò a ondata sull’uomo e sul muro, corse a rivoletti impetuosi, tinse la gatta spaurita. Uno si buttò per terra a sorbire la motriglia vinosa.
Il padron di casa bestemmiò, rise, mi tese un bicchiere di mosto. Bruciava. La cantina era bassa e rossastra.
― Vila, un toco de legno per la bota!
Io corsi prima di lei, per scappar via; ma ella mi rincorse. Pioveva. La notte era oscura e fangosa. Scridivano gli agostani. Mi prese per mano, e correndo mi baciò il braccio nudo, sgocciante d’acqua.
Io dissi: ― Vila ― a bassa voce, meravigliato.
Nella cantina gli uomini zappavano ritmicamente, il padron di casa beveva, la gatta si leccava il pelo intriso.
Mi sedetti contento per terra. Correvo per una lunga strada piena di sole. Correvo, correvo.
Quando il sole è alto nel luglio, correndo nei prati l’uomo si ferma perchè il respiro è pieno d’un veleno e d’un calore così dolci e forti ch’egli deve sdraiarsi nel sole e dormire. Chiude gli occhi, e le palpebre gli fiammeggiano come un cielo infocato, e da tutte le parti s’alzano vampate immense barcollanti d’albero in albero. L’aria trema inquieta nell’arsura.
Ma m’alzai furioso e corsi in campagna, gridando come un falco ch’abbia lasciato per la prima volta il suo nido.