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Bella è la vendemmia. Oltre i vignali vanno grida e risate; i cani sbalzano, accucciandosi sulle zampe davanti, da questo a quel gruppo di vendemmiatori, e i passeri frullano sbandati. Il padrone eccita: ― Dai, dai, dàghe, dàghe, forza, prr, prr, prr, dai, dai!

Le labbra e il mento sono appiccicose di mèle stillato, e le mani, la maglia, il manico della roncola, i pampani, le brente, i carri. Tutto è una gomma rossastra. E ci si lava pigiando a palme aperte gli scricchiolanti grappoli nella brenta.

Buona è l’uva, addentata a grani dal tralcio, mentre dagli occhi sgocciola il sudore e la palma della mano è stanca della roncola. Ma ancora questo filare, ancora questa vite, ancora questo grappolo! Qua con una brenta! Alloo!

E, tornati giù sbalzellando, il pane e il brodo sono buoni come mai. Si gode della bella tovaglia bianca sotto la lampada. Domani si ricomincia.

Piovigginava a stento. Sulla melma del piazzale sfilavano due strisce giallastre di luce. Entrai nella cantina.

- Bonasèra! ― Ah; bonasèra!

La cantina era bassa. Nel mezzo, su una botticella fumazzava una fiamma rossastra di petrolio. Il padron di casa sedeva vicino alla fiamma, con un bicchiere in mano. Nel volto era del color dei fondi violacei di botte.

Tutt’intorno gravavano grandi botti brune e tini panciuti. Su i muri, nei cantoni, tra l’inferriata del finestrino murato c’erano mille ragnateli stracciati e aggomitolati dalla polvere. Una gatta baia sotto le botti annusava