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Dolce è riposare così, amando delicatamente questa lunga erba, e palpitare persi con lo sguardo nel cielo. Io sono una dolce preda desiderosa d’inghiottirsi nella natura.


Carso, che sei duro e buono! Non hai riposo, e stai nudo al ghiaccio e all’agosto, mio carso, rotto e affannoso verso una linea di montagne per correre a una meta; ma le montagne si frantumano, la valle si rinchiude, il torrente sparisce nel suolo.

Tutta l’acqua s’inabissa nelle spaccature; e il lichene secco ingrigia sulla roccia bianca, gli occhi vacillano nell’inferno d’agosto. Non c’è tregua.

Il mio carso è duro e buono. Ogni suo filo d’erba ha spaccato la roccia per spuntare, ogni suo fiore ha bevuto l’arsura per aprirsi. Per questo il suo latte è sano e il suo miele odoroso.

Egli è senza polpa. Ma ogni autunno un’altra foglia bruna si disvegeta nei suoi incassi, e la sua poca terra rossastra sa ancora di pietra e di ferro. Egli è nuovo ed eterno. E ogni tanto s’apre in lui una quieta dolina, ed egli riposa infantilmente fra i peschi rossi e le pannocchie canneggianti.

Disteso sul tuo grembo io ti sento lontanar nel profondo l’acqua raccolta dai tuoi abissi, una sola acqua, e fresca, che porta la tua giovane salute al mare e alla città.

L’acqua delle tue grotte io amo che s’incanala benefica per le strade dritte. Amo queste donne carsoline che stringendo fra i denti, contro la bora, la cocca del fazzo-