Pagina:Il laicismo (Riccardi).djvu/13

 
— 13 —
 



lauti in verità, da far gola! Non havvi ufficio, per quanto modesto, che non sia meglio retribuito. Ma consideriamo i preti all’opera. Se fra essi se ne conta alcuno agiato, salvo casi rarissimi, lo deve a censo di famiglia e non certo a lucri sacerdotali. E quale uso fa la maggior parte di essi dei proprii beni? — Torino non senza ragione è detta città della beneficenza. Gli istituti di carità vi abbondano. Ve n’ha forse alcuno, alla cui fondazione non abbia preso parte il Clero? Quelle opere pie da cui si vogliono sbanditi i sacerdoti, sono quasi tutte creazione od inspirazione loro. I preti interessati! Come va adunque che a Torino e fuori, in ogni paese, in ogni parrocchia, i poveri più che a qualunque altra porta, battono sempre alle case dei sacerdoti? E fu interessato il Cottolengo? O lo sono forse coloro che seguono le orme di lui? O fu l’interesse che inspirò D. Bosco e che inspira ora i suoi numerosi figli?

Senza dubbio, noi ecclesiastici, a cominciare dall’Arcivescovo, ci indirizziamo sovente alla borsa dei cattolici, invocandone la carità. Ma lo facciamo forse per interesse personale? Poichè questo mondo è così fatto che senza danaro si riesce a fare poco o nulla di bene, noi ne cerchiamo. Ne cerchiamo per le chiese da costrurre o da restaurare. Ne cerchiamo per le scuole cattoliche da aprire, per gli istituti pii da fondare o da mantenere, per la buona stampa ed i buoni libri da diffondere. Ne cerchiamo per i poveri da sovvenire, per i malati da curare, per gli schiavi da redimere, per gli infedeli da convertire e per tutte insomma le opere cattoliche da promuovere. Dimandiamo a tutti, spesso, anzi sempre, e con insistenza, esponendoci ad umiliazioni, a rifiuti, anche alle calunnie, e portandocele in pace.