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§ 17. — Rincarnazione.


Arrivai alla stazione in tempo per il treno delle 12 e 10 per Pisa.

Preso il biglietto, mi rincantucciai in un vagone di seconda classe, con la visiera del berrettino calcata fin sul naso, non tanto per nascondermi, quanto per non vedere. Ma vedevo lo stesso, col pensiero: avevo l’incubo di quel cappellaccio e di quel bastone, lasciati lì, sul parapetto del ponte. Ecco, forse qualcuno, in quel momento, passando di là, li scorgeva... o forse già qualche guardia notturna era corsa in questura a dar l’avviso... E io ero ancora a Roma! Che s’aspettava? Non tiravo più fiato...

Finalmente il convoglio si scrollò. Per fortuna ero rimasto solo nello scompartimento. Balzai in piedi, levai le braccia, trassi un interminabile respiro di sollievo, come se mi fossi tolto un macigno di sul petto. Ah! tornavo a esser vivo, a esser io, io, Mattia Pascal. Lo avrei gridato forte a tutti, ora: — io, io, Mattia Pascal! Sono io! Non sono morto! Eccomi qua! — E non dover più mentire, non dover più temere d’essere scoperto! Ancora no, veramente: finchè non arrivavo a Miragno...