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piccole scoperte. 95


esser sospetto di pensare liberamente, è quanto basta per esporre qualunque Italiano a simile ventura. Ma ciò che deve parere, ed è infatto più strano, avuto riguardo alla stretta complicità nell’opprimere, nella quale tutti i Governi italiani sono d’accordo, è come un uomo cacciato di Sicilia possa trovare un rifugio ed essere tollerato negli Stati Sardi (il lettore deve rammentarsi che il dottor Antonio parla così nel 1840). Or ecco come ciò avvenne. Il giorno che il suolo di Catania divenne per me troppo caldo — nè qui ora è necessario addentrarci nelle cause naturalmente politiche che lo resero tale; — quel giorno fui fortunato abbastanza per ottener passaggio a bordo di una nave mercantile genovese diretta a Genova. Quando arrivammo, mi fu domandato il passaporto; e siccome naturalmente non ne avevo, mi fu ricusato il permesso di sbarcare. Fortunatamente, mio zio — l’uffiziale inglese da me già nominatovi come marito della sorella maggiore di mia madre — quando tolsi commiato da lui, aveva avuto il felice pensiero di darmi una lettera di conoscenza per un suo vecchio amico e camerata, il console inglese a Genova. Spedii a questo signore la mia lettera; e, per i suoi buoni officii, ottenni permesso di sbarcare non solo, ma di rimanere una settimana in città. Disgraziatamente io non sapevo trovare, nè cosa avessi a fare, nè dove andare allo spirar del termine: quando una mattina vidi un paragrafo nel foglio ufficiale della città che mise fine alla mia irresoluzione. Avrei dovuto dirvi che nel 1837, tempo del quale parlo, il cholera asiatico menava strage per questa Riviera. Il paragrafo da me letto era un avviso diretto a tutti i medici in genere, e specialmente ai giovani, per eccitarli a porsi a disposizione del Proto-Medicato, specie di Consiglio di Sanità, dal quale era stato pubblicato quest’avviso. Alcuni emolumenti pecuniarii erano promessi a quelli che offrissero volontarii i loro servigi. Un motivo di umanità mi tentò a farlo, e un motivo più personale mi decise. Credei che con esso fosse gettata una tavola, alla quale afferrandomi avrei potuto esser salvo da completo naufragio: perchè lasciare affatto l’Italia sarebbe stata estrema disperazione per me; e perchè se fossi riuscito, mi sarei potuto guadagnare il pane onestamente e senza essere a carico della mia famiglia. Così mi recai dal Consiglio di Sanità, e rappresentai, come era vero infatti, che io aveva un po’ di esperienza nella cura del cholera scoppiato alcuni mesi prima in Sicilia. Fui ben accolto; ma quando mostrai il mio diploma, il quale con alcune altre poche carte avevo portato meco da Catania, mi fu detto che essendo io un forestiero — sì,