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tami poco prima; e anche all’occhio loro apparve manifesta la falsificazione. Nè contento di quella prova materiale della calunnia, seguitai a corroborarla colla dimostrazione dell’impossibilità morale. Come poteva Dragonetti, uno dei più puri ed eleganti scrittori italiani, le lettere del quale sono modello di stile forbito — come poteva avere scritto un foglio pieno dei più grossi errori, non solo di grammatica, ma fin di ortografia? Come poteva supporsi che Dragonetti, uomo agiatissimo di averi, con un circolo numeroso di relazioni, amici e conoscenti a sua disposizione, si fosse servito della posta in un affare tanto pericoloso — egli che aveva sempre mandato a mano le sue lettere più indifferenti? Come poteva esser possibile che un uomo di età matura ed educato alla scuola delle disgrazie, pur si sognasse di scrivere di proprio pugno, senz’ombra di maschera, una lettera che lo poteva mandare al palco, autenticandola colla sua sottoscrizione e col titolo di Marchese?

Questi ed altri simili argomenti senza replica, così come io li veniva esponendo e dettando, venivano inscritti in una minuta, allora stesa; ma questa minuta non figura fra i documenti del processo attuale, ed è stata ritenuta per motivi maligni. La lettera falsa era per informarmi che Mazzini, uno dei Triumviri in Roma, mi dava appuntamento a Malta, e parlava di una prossima generale insurrezione in tutta Italia; e alludeva ad una corrispondenza di lord Palmerston incitante il popolo di questo paese a proclamar la Repubblica, e offerente ogni sorta di ajuto (tutti gli occhi si voltano allora verso il rappresentante della Gran Bretagna, sir Williams Temple, fratello di lord Palmerston, che stava nella galleria coi principi Colonna); finalmente quello stupido foglio annunziava l’imminente arrivo di Garibaldi. Domando formalmente che la minuta mancante sia rimessa fra i documenti della causa; nè dubito che mi accorderete questa domanda, perchè la condanna di un innocente è una pubblica calamità; e, a rimuovere un pericolo di tal sorta, dovete concedermi ogni modo atto a provare ch’io sono vittima di nere e calunniose macchinazioni. Piacciavi di osservare che si parla della venuta di Garibaldi nella denunzia di Iervolino contro di me del 20 maggio 1849; che la venuta di Garibaldi fu menzionata dai testimoni di Pomigliano esaminati nel processo preparatorio, e che della venuta di Garibaldi tocca l’autore della lettera falsa attribuita a Dragonetti. Or qui avete la parola d’ordine de’ miei persecutori, qui avete il filo per iscoprire la tela tessuta per ruinarmi. Signori della Corte, io