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su Iervolino, e prenda il suo posto in questi banchi; metta in pericolo la sua testa, e allora le sue mirabili rivelazioni potranno essere, non dico credute, ma ascoltate senza offender la legge.» Qui Nisco si estende a lungo in particolari di fatto, provando che durante l’amministrazione di Poerio, cioè dal 6 marzo al 3 aprile 1848, egli, Nisco, non era stato mai in Napoli, e che però non aveva potuto, per fisica impossibilità, avere alcuna comunicazione con Iervolino, in un luogo dove egli, Nisco, non era. «So benissimo,» continua l’accusato, «che Iervolino ha sotto qualche rispetto ritrattato i suoi primi detti, e che ha asserito poc’anzi essere state fatte le sue sollecitazioni a Poerio per esser arruolato nella setta, più tardi, e quando Poerio non era più ministro. E quando cangiò tattica questo delatore? Quando saltò agli occhi di lui e di ognuno l’incredibilità della sua prima affermazione. Ma la nuova dichiarazione di Iervolino sorpassa, se è possibile, in assurdità l’antica. Suo fine, egli dichiara, era di venir raccomandato da Poerio ad alcuni dei nuovi Ministri. Ai Ministri, davvero, del 16 maggio! — a quello stesso Ministro, cui Poerio, come deputato, non cessò mai dalla tribuna una leale coscienziosa, ma instancabile opposizione. — E conchiude domandando provare con testimoni ineccezionabili, l’esattezza delle allegazioni quanto al suo alibi da Napoli, nel tempo in cui Iervolino asserisce di aver avuto relazione personale con lui nella capitale.»

Settembrini, domandato dal Presidente se abbia nulla a dire, sorge e risponde: — «Dopo le domande fatte al delatore dal mio amico e coaccusato Poerio, non ho nulla a domandargli per mio riguardo: solo posso dire di non aver mai conosciuto Iervolino per l’innanzi, nè vorrei neppure averlo conosciuto adesso. Costui è agente pagato dalla Polizia, ne riceve dodici ducati al mese, oltre gl’incerti, in ragione dei servigi resi. Guardate come s’è ripulito e forbito: pare adesso tuttaltro che povero. Questi fatti li confidò egli stesso a’ suoi amici, a Nicola Rubinacci, Luigi Mazzola, Ferdinando Lanzetta, e Giovanni Luigi Pellegrino; e queste confidenze egli fece, lamentandosi con lui Rubinacci de’ tempi difficili; il quale fu da Iervolino esortato a fare come egli aveva fatto, e così si sarebbe tratto presto di bisogno. Domando che le persone da me nominate siano sentite come testimoni, e spero la Corte vorrà accordarmi almeno questa richiesta. Mi prevalgo di questa opportunità per ricordare alla Corte, essere io qui in una posizione isolata e senza esempio, ed essere il solo in questa causa di cui le deposizioni a discarico siano state rigettate tutte