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Væ victis. 321

porti alla polizia inscritti nel processo. Alla domanda vien risposto affermativamente da Iervolino. — «Quest’uomo mentisce,» soggiunge Poerio, «perchè io qui presento un rapporto scritto interamente di suo pugno, e diretto ad un impiegato di polizia per nome Gennaro — rapporto pieno delle più disgustanti calunnie contro Settembrini e me. Domando al denunziante dica se questo rapporto sia suo; e in caso che nieghi, domando che l’identità del carattere sia accertata.»

Navarro esprime la sua maraviglia, sentendo che un rapporto scritto contro l’accusato Poerio sia in sua mano. Poerio risponde: — «Non sono obbligato a dirvi come lo ottenni. È un segreto confidato all’onor mio, che rimarrà sepolto nel mio petto finchè vivo. Il documento è utile alla mia difesa, e qui lo esibisco sotto la mia propria responsabilità servendomi di un diritto accordato dalla legge. Questo deve bastare alla vostra vigilante giustizia, signor Presidente, come anco a farvi conoscere la virtù, in questi tempi tristissimi, avere più amici di quello che gli scellerati non credano.»

Iervolino è invitato a esaminare il documento. Si fa innanzi con passo tremante e bianco in viso; guarda la carta, esamina accuratamente l’indirizzo, poi dice: — «Deve essere stata diretto a don Gennaro Cioffi;» così supplendo al cognome mancante nell’indirizzo, che ivi la carta era stata lacerata. Iervolino legge, e la volta e rivolta più fiate; poi brontola che non ricordasi di averla scritta, ma la crede sua. Stretto da domanda sopra domanda, dice alla fine: — «Questo foglio è mio, ma l’indirizzo non parmi di mio carattere.» Il foglio vien letto attentamente dal segretario.

Poerio si leva in piedi di nuovo, e dice: — «Fra le deposizioni a discarico, da me esibite alla Corte, ne figura una con cui mi proponevo provare che fin dal maggio 1849 io conosceva perfettamente esser costui un agente segreto dell’empia fazione che ha risoluto di rovinarmi ad ogni costo. Offrii allora di mostrare alla Corte un rapporto contro di me scritto e segnato da costui, e domandai che fossero esaminate due persone onorevolissime, miei ottimi amici, a’ quali avevo dato a leggere questo schifoso foglio, appena avuto. La Corte credette conveniente di rigettar quella particolare domanda, assieme alle altre da me fatte. Chiamato all’esame, non mancai di sollecitar di nuovo rispettosamente che si ammettessero que’ modi di difesa precedentemente rigettati, e particolarmente questo ultimo. Ricevetti un nuovo rifiuto; pure la Corte, nella sua alta sapienza e giustizia, mi riserbò il diritto di doman-