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rilievo l’iniquità dell’accusa affatto infondata, la nobile attitudine della difesa, la predeterminazione a condannare per parte dei Giudici1.


CAPITOLO XXVI.

Continua.


La Fenice dei delatori, il figlio prediletto della Prefettura di Polizia, uomo di mezzana statura, elegantemente vestito, di pallido aspetto, di una trentina d’anni, viene introdotto. Un viso lungo, lievemente vajuolato; un pajo di occhietti senza espressione, che par non guardino in nessun sito; una fronte bassa e stretta, lo fanno tutt’altro che attraente allo sguardo. Vien dentro con aria di innocenza affettata e di timidità, che fanno grande onore al suo talento d’attore. Incontrastabilmente Iervolino è, fra i suoi degni socii di infamia e degradazione, quello che meglio si guadagna il magro salario di dodici ducati, circa cinquanta franchi al mese, assegnatogli dalla Polizia. Diverso da Gennaro, o Marotta, i quali declamano le loro calunnie, Iervolino le lascia stillar dalle labbra con modestia, esitando, quasi uno che si rammenti difficilmente; ma rimesso tosto nel retto sentiero da un aggrottar di ciglia, o da una parola del Presidente, tira innanzi freddamente, metodicamente, con decisione e fluidità.

Egli depone che, essendo in gran bisogno e senza lavoro, nè l’orefice che l’impiegava abitualmente avendo a dargliene, si recò un giorno dal baron Poerio, allora Ministro della Corona, per cercar di avere da lui quel ch’egli chiama un pane sicuro. A dispetto delle promesse fattegli, vedendo

  1. Le particolarità contenute in questo e nel seguente capitolo, sono tratte in ristretto da una corrispondenza pubblicata in allora da un giornale di Torino, moderato e abilmente diretto, il Risorgimento. Fu l’unico giornale, per quanto sappiamo, che abbia data maggior pubblicità che per lui si potesse al processo contro Poerio e compagni. Il corrispondente era testimonio di vista coscienzioso; però è lecito confidare nella sua veracità.