Pagina:Il dottor Antonio.djvu/321


Væ victis. 317


rio;» aggiungendo: «Ora verrò disopra, e vi dirò tutto.» — Difatti andò in casa di Mingione, e narrato l’arresto di Poerio, disse che avevano ravvolto questo gentiluomo in una rete tale che ci avrebbe perduta infallibilmente la testa. E chiedendogli il Mingione qual cosa avesse indotto lui (Colella) a denunziar Poerio falsamente, gli rispose che l’aveva fatto perchè Poerio era stato Deputato e difensore della Nazione (sic), e avrebbe ucciso tutti se non si uccidesse lui; e anche perchè egli, Colella, aveva per ciò ricevuto promessa di un impiego di Polizia di dodici ducati al mese. Questa deposizione del prete Mingione, data con giuramento innanzi alla Gran Corte Criminale, è confermata e corroborata da quella della madre e della sorella di Mingione. Colella, secondo la fede di perquisizione — così si chiama il certificato relativo ai precedenti giudiziali di una persona — è stato processato per latrocinii commessi nel suo convento quand’era frate, per ispergiuri, truffe al giucco, per bestemmie, e stava ora in prigione per ratto violento.

Francesco Paladino — morto dippoi — testimonio nel processo contro Nisco, è notato nella sua fede di perquisizione, di trentadue delitti — monete false, banconote false, truffe al giuoco, estorsioni di danaro con false pretese, scrocchi, ecc.

Gennaro Fiorentino, altro testimonio del processo, ha sopra di sè otto accuse di latrocinii, spergiuri e frodi.

Antonio Marotta testimonio contro il prete Nardi, è notato nella sua fede di perquisizione per testimonianza falsa, e spergiuro in un processo politico contro il canonico Colamella, e sta attualmente sotto mandato di arresto della Gran Corte Criminale di Potenza, a dispetto della quale rimane pur libero. Quest’uomo è il vero bruto dei delatori. Denunziare il prete Nardi suo cugino era per lui una leggierezza; e l’aveva portata fino all’eroismo denunziando i due suoi fratelli. Se ne vanta come di cosa fatta in servizio del Re. I due infelici fratelli di Marotta, non potendo sopportar più a lungo il disonore recato ad una famiglia onorevole dalla infame condotta di lui, lo avevano cacciato di casa; ed egli, per vendicarsi, erasi fatto l’accusatore del sangue suo. Resta Iervolino, la chiave dell’arco dell’accusa contro Poerio, Settembrini e Nisco. Dedicheremo un capitolo intero alla deposizione di questo consumato furfante, e a varii incidenti cui diede luogo. Occuparono essi tutta la decimaquarta seduta della Corte, e nessun’altra seduta meglio di questa può dare un’idea più completa di tutta la procedura; nessuna metter meglio in