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296 | il dottor antonio |
poco prima strappate alla mano ferrea del dispotismo? Nessuno il seppe allora, ed è un mistero anche al giorno d’oggi.
A mala pena si possono rintracciare le sorgenti dei fatti contemporanei, oscurati da contemporanee passioni. Che i repubblicani abbiano deliberatamente sfidato il Governo, sembra appena credibile a fronte di un fatto ammesso da tutti gl’imparziali scrittori, e comprovato da testimoni oculari: la pochezza del partito repubblicano, seppur alcun partito di tal fatta poteva ritrovarsi in Napoli nel 1848. Il grido di «Repubblica» non uscì mai di bocca ai combattenti; e nessuna persona nota di principii repubblicani figurò tra i molti prigionieri tratti poi innanzi ai Tribunali per accuse politiche. Se il proverbio: cui bono fuerit, riuscisse sempre vero, servirebbe a sostenere contro il Potere esecutivo l’accusa di aver egli procurata una collisione, da cui trasse tanto vantaggio, e che riuscì a lui tanto profittevole. Ma non intendiamo addurre argomenti congetturali; e vogliamo lasciare al Potere esecutivo il vantaggio della mancanza di prove dirette, sostanziali, irrefutabili. Vorremmo esser giusti anche verso il re Ferdinando II di Napoli. Ci erano ragioni sufficienti a provocar quella catastrofe del 15 di maggio; nè occorre asserire che fosse preparata, o premeditata, da alcuna delle due parti.
Un giornale politico di quel tempo, la chiamò con frase giusta e intelligibile: squilibrio di due paure; ed era letteralmente vero. Fin dal 29 gennajo, i sostenitori del diritto divino e i partigiani della libertà costituzionale, si erano riguardati scambievolmente con sensi di odio e di diffidenza mal dissimulata. Il popolo ricordava che più di una volta le fucilate e i colpi di bajonetta avevano risposto alle grida di Viva Pio IX! Viva la Riforma! Il Re si ricordava del pari che la Costituzione era stata strappata per forza da lui; pertanto egli stava perpetuamente sul qui vive! per le sue prerogative minacciate; e i liberali parimente all’erta per le loro libertà pericolanti. L’inopportuna Enciclica del 29 di aprile, l’atto fatale con cui Pio IX inaugurò la sua separazione dal movimento nazionale, fu valido mezzo per allargar quella breccia. Un partito la salutò con lieto animo e rinnovate speranze; l’altro manifestò aperto il suo risentimento, e per la lettera, e per le speranze da essa incoraggiate. Così stavan le cose, quando accadde il disgraziato malinteso fra il Potere esecutivo e i Deputati circa la formula di giuramento. Fu la scintilla caduta su materie combustibili da tanto