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peto popolare fu irresistibile. Quasi per incanto prese tutte le fortezze una dopo l’altra: il Palazzo Reale fortificato venne assalito con tale ardore (quivi fu ferito Antonio), che la guarnigione lo abbandonò il 25; e le truppe cacciate dalla città furono inseguite da ogni parte vigorosamente e vittoriosamente.

L’insurrezione si estese su tutta la faccia dell’isola: Girgenti, Catania, Messina, Caltanissetta, Trapani, Siracusa, l’una dopo l’altra seguirono tutte l’esempio di Palermo. I soldati di guarnigione deposero in alcuni luoghi le armi, in altri furono pienamente disfatti, in altri si ritirarono nei forti, come a Messina, dalla cittadella mantenendo contro la città il fuoco. L’ultima città di qualche importanza unitasi a quel movimento, fu Noto. L’adesione di essa avvenne il 4 febbrajo; e lo stesso giorno la bandiera tricolore sventolava sulle mura della fortezza di Castellammare. Allora il Comitato Generale di Palermo, costituito per dirigere convenientemente l’insurrezione, assunse i poteri e il titolo di Governo Provvisorio della Sicilia; e ne era Presidente il venerando Ruggiero Settimo.

Come abbiamo già detto, un nuovo ordine politico di cose era stato intanto inaugurato a Napoli: circostanza che dava belle speranze di un pronto accomodamento fra i due paesi. Poco tempo dopo furono infatti cominciate le trattazioni — sotto gli auspici di lord Minto — fra il Governo napolitano e quel di Sicilia, intorno alle quali vogliamo soltanto osservare che, per parte del Governo di Napoli, esse furono cominciate e proseguite senza quello spirito di rettitudine e di conciliazione, per cui solo, se non interamente dissipata, potevasi diminuire la diffidenza da deplorabili fatti antecedenti radicata nell’animo dei Siciliani. La verità di questa asserzione apparisce chiara a chiunque si voglia prender l’incomodo di percorrere la corrispondenza ufficiale tenuta in quel tempo da lord Minto col visconte Palmerston. «Io comincio,» scrive lord Minto a lord Mount Edgecumbe in Palermo, «comincio a credere molto seriamente che qui (in Napoli) non si abbia intenzione di venire ad amichevole accordo; e tutto quello che è stato fatto o si fa, non tenda ad altro che a prepararsi per le ostilità, e assicurare gli ajuti stranieri.» Questo è il senso della lettera di Sua Signoria data in febbrajo 1848.

Stanchi di esser tenuti a bada, e conoscendo la necessità di sottrarre sè stessi e l’isola dai pericoli della posizione provvisoria, il Comitato Generale di Palermo pubblicò alla fine una dichiarazione. Era in essa detto chiaramente, che non si sarebbe continuato a trattar sulle condizioni della