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cui salutò il color sanguinario con grida che divenivano ognora più fiere. Le coccarde tricolori pareva spuntassero loro sotto i piedi dal pavimento; le quali distribuite rapidamente, decoravano ogni cappello e ogni abito.
Vi sono momenti ne’ quali le bajonette e i cannoni diventano impotenti contro la moltitudine anche inerme e indifesa. Quando il sangue del popolo si solleva, le mani e le braccia di carne gittano giù le mura di pietra e deridono l’artiglieria. La storia moderna, dalla distruzione della Bastiglia in poi, è piena di questi esempi. Una crisi di tal sorta era allora vicina, e se riuscì a finir senza sangue sparso, può attribuirsi al coraggio del general Roberti, il prode e onesto Comandante del Castello, il quale rifiutò di bombardar la città; e piuttosto esibì la sua dimissione. Questo avvenne nella mattinata scura e nebbiosa dei 27 gennajo 1848.
Il Re, trovandosi in un difficil dilemma, chiamò allora a sè la maggior parte degli eminenti personaggi ne’ quali riponeva fiducia. Il conte Statella comandante in capo di Napoli e il general Filangieri erano del numero. Unanimi risposero a Ferdinando, consigliandolo a mutar senza dilazione i ministri, e ad accordar la Costituzione. Fu disciolto in conseguenza il Ministero; e l’anima di esso, l’eroe di Bosco e di Catania, Del Carretto, venne messo senza cerimonia a bordo di una nave a vapore del Governo. Seguito dalle maledizioni de’ suoi concittadini, e accolto con esecrazione in Livorno e in Genova, ove il bastimento dovette fermarsi, il disgraziato ministro fece il meglio che potè il suo viaggio per Marsiglia. L’esilio di Del Carretto fu atto di tarda giustizia, e mite, se si paragona a’ suoi delitti; ma fu nondimeno un atto di nera ingratitudine da parte del Re. Dal momento che Ferdinando cominciò a temer per sè, si condusse come sogliono tutti i tristi volgari, e sacrificò senza esitare colui che egli avrebbe dovuto sostenere, e come suo complice attivo e senza scrupoli, e come suo servo fedele.
La universale preghiera del popolo doveva alla perfine essere ascoltata: fu promessa una Costituzione, che venne pochi giorni dopo proclamata. Il Re adoperò queste parole nel suo solenne preambolo: — «Aderendo al voto unanime dei nostri amatissimi popoli, abbiamo di nostra piena, libera e spontanea volontà promesso di stabilire in questo reame una Costituzione... E nel nome temuto dell’Onnipotente Santissimo Iddio Uno e Trino, cui solo è dato di leggere nel profondo de’ cuori, e che noi altamente invochiamo a Giudice della purità delle nostre intenzioni, e