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buona notte all’idillio. | 243 |
dieci anni di separazione. Seguitarono a discorrere senza interruzione, finchè John Ducket venne ad apparecchiar la tavola pel pranzo. Il capitano Davenne fece a John i suoi complimenti per la bella apparenza di lui, onore che nel grave aspetto di John diffuse un sorriso di intenso compiacimento. Allora i due gentiluomini si ritirarono nella camera di sir John; d’onde furon poco dopo richiamati per il pranzo che era in tavola. Aubrey mangiò e bevve per due; e mentre mangiava e beveva, i suoi elogi delle vivande, del vino e del luogo si facevano ognor più rumorosi, resi anche più efficaci da solenni giuramenti e da tremendi scoppii di risa, per cui tremavano piatti, bicchieri, caraffe, e fin la vetrina.
— «Ditemi un po’, mio caro ragazzo,» domandò il Baronetto, «in quale locanda vi ha lasciato Carnifex?»
— «In nessuna,» rispose. «Lasciai la mia valigia in una specie di osteria ove mutò i cavalli; e voi, John, bisognerà che l’andiate a prendere dopo il pranzo.»
— «Temo,» disse sir John, «che qui non sia posto per voi. Questa osteria è un vero guscio di noce, non c’è un buco d’avanzo, che io sappia.»
— «Non importa,» replica Aubrey, «à la guerre comme à la guerre. Posso dormire sul sofà, per terra, dovunque. Son qui, e intendo restar qui; chè suppongo non mi vorrete cacciar via per forza.»
Questo era l’ultimatum di Aubrey, e vedevasi bene che nessuna ragione non lo poteva smuovere. Venuti ad un corto consulto, sir John e John Ducket conclusero che John procurerebbe di trovarsi alloggio dove potesse; e la sua camera si sarebbe accomodata pel padroncino. John, per render servizio ad Aubrey, avrebbe volentieri dormito a ciel sereno.
Terminato il pranzo, il capitan Davenne, a gran maraviglia e costernazione di sir John, accese un enorme sigaro. — «Sigari di prima qualità,» disse mandando fuori una boccata di fumo. «Spero che non vi dia fastidio l’odore, Lucy: so che a mio padre non dispiace.» Lucy protestò che non ci aveva contrarietà — e che anzi le piaceva; ma il fatto stava ch’ella non poteva sopportarlo. Quale motivo la forzava dunque a dir cosa poco d’accordo col vero? Povera, timida, debole Lucy? ne ho vedute tante delle tue sorelle, candide e semplici come tu sei, peccar pure in simil modo, e talor peggiore, per rendersi propizii orsi siffatti come questo tuo fratello! De’ quali peccati, convien sperare, che non saranno chiamate a render conto un giorno le deboli e sensibili creature; ma sì i loro padroni sover-