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242 | il dottor antonio |
Lo indovinò Lucy colla femminil penetrazione, e il suo crescente terrore le sciolse la lingua. — «Mio fratello, il capitano Davenne — e il dottor Antonio, il mio medico, il miglior amico di papà.» Queste parole ruppero l’incanto. Il capitano Davenne fece un lieve inchino, lo stesso fece il dottor Antonio. E nel prender commiato, e raccomandando a Lucy di starsi in quiete, e di andar presto a letto la sera se non si fosse sentita meglio, il Dottore se ne ritornò.
Aubrey si diè tosto a girare intorno, mettendo in moto a furia di calci le sedie e le poltrone che erano nella sala — e ogni colpo facea fare un nuovo balzo a Lucy. Avendole disposte un po’ simmetricamente a lato del sofà, si stese colle sue membra pesanti sopra questo letto improvvisato; mentre pure parlava sempre a voce alta. Egli narrava, fra un calcio e l’altro, a Lucy la sequela di felici circostanze, per le quali le era stato procurato questo improvviso bene della compagnia fraterna. E le quali in breve erano: che essendosi ristabilito più presto di quello che si credesse il camerata Uffiziale invalido, il cui ufficio era ricaduto sopra Aubrey, il capitano Davenne aveva per conseguenza potuto far vela colla stessa corsa postale delle Indie, il cui arrivo senza sue lettere aveva cagionato la mattina l’inquietezza di sir John. Che serviva scrivere, dovendo arrivare in Inghilterra nel tempo stesso che la lettera? In Londra avendo incontrato Tom Carnifex — figlio primogenito di Lord Carnifex — che avea in quel punto ricevuto da suo padre l’ordine di raggiungerlo in Firenze più presto potesse, Tom aveva offerto ad Aubrey un posto nella sua britschka; e Aubrey aveva accettato; ed ora era qui. Del forestiero trovato in compagnia della sorella, della impressione piacevole o spiacevole avuta da quella vista, nemmeno una parola.
Grande fu la sorpresa, la felicità e il contento di sir John quando, entrato poco dopo nella stanza, vide il suo tesoro per tanto tempo perduto, Aubrey, assiso a lato della sorella. Sir John se il sentimento del proprio decoro lo avesse permesso, avrebbe fatto pazzie. Con quanta affettuosa fierezza ei guardava il ragazzo, come soleva chiamarlo! chè l’erculea statura di Aubrey, e le sue belle fattezze, avrebbero pure eccitato l’ammirazione anche di un giudice più imparziale di suo padre. Le sollecite inchieste del Baronetto provocarono una seconda edizione del racconto di Aubrey poc’anzi riferito; e allora fra padre e figlio cominciò un vivo fuoco di domande e risposte, simili a martelli battenti rapidamente sopra l’incudine. Nè era maraviglia che avessero tanto da dirsi l’uno all’altro, dopo