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accomodamento nè per la forma, nè per la sostanza poteva pertanto toccar la Sicilia. Gli agenti spediti da Ferdinando a Vienna erano stati spediti a discuter solo un affare suo personale — cioè la restaurazione al perduto trono di Napoli. Gl’interessi della Sicilia non avevano a che fare con questo; la Sicilia non aveva niente da trattare o da dire al Congresso di Vienna; — non ci aveva neppur un rappresentante. Il Re e il cavalier Medici vi figuravano solo per i domini napolitani. Ciò è tanto vero, che il Re fu nominato negli Atti del Congresso soltanto come Ferdinando IV di Napoli, e mai col titolo congiunto di Ferdinando III di Sicilia; ed anzi è a presumere che se le Potenze a Vienna realmente avessero avuto intenzione di fondere i due paesi in uno, avrebbero dichiarato questa intenzione, e senza ambagi: come fecero stipulando l’annessione di Varsavia alla Russia, del Belgio all’Olanda, e di Genova al Piemonte; ed è a supporre che si sarebbero, come negli altri casi, specificate le condizioni di siffatta unione. Ora nulla di ciò trovasi nell’articolo 104. Esso dice semplicemente: «Ferdinando è riconosciuto Re del Regno delle Due Sicilie.» Se ne può quindi mai arguire, anche per un solo istante, che la forma del singolare data alla parola Regno, invece del plurale — una sola lettera variata in una parola — sia fondamento sufficiente per procedere alla distruzione di un diritto secolare?

«E questo per l’indipendenza siciliana. Quanto alle libertà della Sicilia, Ferdinando erasi provvisto di un pretesto plausibile per sbarazzarsene col trattato segreto conchiuso coll’Austria. Era in esso dichiarato che: «Sua Maestà il re delle Due Sicilie riassumendo il Governo del regno, non ammetterà alcuna innovazione che sia in alcun modo in opposizione alle antiche istituzioni monarchiche, o al sistema e ai principii adottati da Sua Imperiale e Reale Maestà nel Governo interno delle sue provincie italiane (Lombardo-Veneto).» Se questa convenzione era stata diretta contro la Costituzione siciliana, costituiva una novella prova della perfidia e del tradimento di Ferdinando; nè obbligava in alcun modo la Sicilia. Ma le parole del Trattato provano che era, e poteva solo intendersi riferita a Napoli. Del possesso del Regno e delle mutazioni che si sarebbero o no fatte, se ne parlava al futuro. Ora, in primo luogo, Ferdinando non aveva mai perduto nulla in Sicilia, avendo il Principe Vicario amministrato l’isola come suo delegato. E, in secondo luogo, le mutazioni in Sicilia erano state fatte tre anni prima della predetta Con-