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L'inferno 289

fu posto nell’aria, nel sole, nella Valle di Giosafat, sotto i poli, agli antipodi, dentro ai vulcani, nel centro della terra, nell’ultimo Oriente, in isole remote, perdute in grembo di oceani sconosciuti, o, a dirittura, fuori del mondo. Qualche esempio a tale riguardo potrà bastare. Gregorio Magno racconta di un solitario dell’isola di Lipari, che vide una volta il papa Giovanni e Simmaco precipitar nella bocca di quel vulcano l’anima di Teodorico. Alberico delle Tre Fontane, cronista francese morto nel 1241, dice, parlando dell’Etna, che le anime dei dannati erano quivi portate quotidianamente a bruciar tra le fiamme. Aimoino, monaco di Fleury sul finire del secolo X, e Cesario di Heisterbach, narrano fatti e storie consimili. San Brandano, navigando fuori dei termini del mondo conosciuto, vide un’isola ignivoma, dove demonii in figura di fabbri ferrai martellavano sulle incudini le anime arroventate. Nell’Huon de Bordeaux, poema francese del secolo XIII, si dice che l’inferno è in un’isola chiamata Moysant, e nell’Otinel, altro poema pure francese, che esso è posto sotto la Tartaria. Ugone d’Alvernia