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potesse indovinare da quale spiraglio, da qual miracoloso crepaccio fosse potuto passare.
Quest’incidente inesplicabile e che non poteva attribuirsi che ad un potere magico, sparse una prima luce favorevole sul giovane avventuriero. Ammesso un sortilegio in quello strano affare, non era difficile ammetterne un secondo. Poi, per fortuna, un giudice che aveva molto viaggiato e conosceva minutamente le tradizioni popolari più diffuse, parlò eloquentemente della famosa volùta ed ammise che il povero giovane avesse rinvenuto la gemma fatale.
Perciò Paolo venne dichiarato innocente del delitto di cui era stato accusato, e fu messo in libertà.
Non è a dirsi l’esplosione di gioia con cui Paolo riprese possesso della sua libertà, della sua parte di luce e di sole! Era libero! Respirava l’aria pura, poteva andare e venire a suo piacere! Ma, ohimè! Si trovava solo, senza un picciolo, privo d’amici, di parenti, d’un’anima pietosa che compatisse la sua profonda miseria, il suo meritato avvilimento! Il sentimento dei suoi falli e delle sue stravaganze gli strinse il cuore come una tanaglia di ferro. Sedette o piuttosto si lasciò cadere sopra una panca, in una strada silenziosa e pregò Dio piangendo. Lo pregò con le stesse parole che gli aveva insegnato la mamma, quand’era piccino.
Dopo, si sentì rianimato, sereno, leggero; e senza metter tempo in mezzo, riprese la via del suo paese.
Oh! sì! Ei la percorse lacrimando la via sulla quale era passato pochi mesi avanti, col cuore in festa, con la testa esaltata da folli sogni di grandezza! Alla fine di quella via era l’asilo sicuro, il tetto paterno, il pacifico focolare a cui poteva riaccostarsi.