Gesù; egli è il suo successore e il suo «miglior nemico»; egli è in una volta l’Anticristo ed anche una specie di secondo Gesù Cristo che, come il Galileo, ha conosciuto la sofferenza e l’odio dei Buoni e dei Giusti, e, come lui, è una «fatalità» (Verhängnis) per innumerevoli generazioni a venire; per lui il cristianesimo deve perire per «autosoppressione» dando la vita a qualche cosa di superiore a lui stesso.
Durante le ultime settimane della sua vita cosciente, quella specie di ideale parentela immaginatasi con Gesù, gli s’impose allo spirito con una nettezza ed una evidenza sempre crescenti. Indubbiamente sotto l’influenza di cause morbide, si produsse in Nietzsche una specie di esaltazione di tutto il suo essere, di tutte le sue facoltà. Sembra che il suo genio, nell’istante di spegnersi, irradii un’ultima volta con non sappiamo quale soprannaturale chiarezza e si avvolga in una sorta di nimbo d’oro prima di sparire per sempre. Egli si sente felice, libero, leggero, si vede spaziare da altezze infinite al disopra degli uomini e della vita; crede alla potenza del suo pensiero creatore ed annunzia che «tra due anni tutta la terra si contorcerà in convulsioni »; attraverso i secoli egli tende la mano al suo predecessore Gesù di cui corona l’opera annientandolo: intitola Ecce homo la sua autobiografia scritta durante l’autunno del 1888, ed al momento in cui l’abisso della follia bruscamente gli si apre dinanzi firma la sua ultima lettera a Brandes: «Il Crocifisso».