interiore, minacciava di falsare anche la sua vita esteriore. Nietzsche sentiva che la sua vera missione era di arrivare alla piena coscienza di sè stesso, di formulare la sua filosofia con rigorosa esattezza. Egli era filologo e professore per mestiere, e compiva questo doppio compito con quella perfetta probità che metteva in tutto ciò che faceva. Sentiva benissimo che all’Università di Basilea non era al suo vero posto. Nel suo esemplare dello Schizzo di una morale senza obblighi nè sanzioni del Guyau, Nietzsche ha fortemente sottolineato il seguente passaggio: «Supponiamo per esempio un artista che sente in sè del genio e che tutta la sua vita si è trovato condannato ad un lavoro manuale; quel sentimento di una esistenza perduta, di un compito non assolto, di un ideale non realizzato lo perseguiterà, ossessionerà la sua sensibilità quasi alla stessa maniera che la coscienza di una debolezza morale». E Nietzsche aggiungeva in margine: «Questa fu la mia esistenza a Basilea».
Accettando quel posto di professore che in principio gli sembrava così conforme ai suoi gusti, Nietzsche si era ingolfato in un ginepraio di doveri, di obblighi, che minacciavano di rendergli impossibile il compimento della sua superiore missione. Allo stesso modo che gli occorreva separarsi dai suoi amati maestri, Schopenhauer e Wagner, gli necessitava pure trovare il coraggio di rompere dei legami che gli erano cari, di separarsi da una università che era stata ospitale con lui, d’interrompere la sua «carriera», il compito «utile» ch’egli aveva cominciato, e di non vivere altro che per le sue idee. Questa dolorosa necessità co-