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FEDERICO NIETZSCHE

672), quando non avevano altro da fare, si mettevano a ridere, a saltare e a correre, oppure, perchè può ugualmente venirne voglia all’uomo, si mettevano in terra a piangere ed a lamentarsi. Altri si avvicinavano allora ad essi per trovare una ragione qualsiasi a quelle sorprendenti mosse; e così si formarono, per spiegare quegli usi, innumerevoli leggende, feste e miti. D’altra parte si credevano, quelle azioni burlesche che si era preso l’abitudine di praticare alle feste, necessarie alla loro celebrazione e si mantennero come una parte indispensabile del culto». — Ecco una disprezzabile chiacchierata e io sono certo che neanche per un momento si prenderà sul serio un Lobeck. Siamo ben altrimenti toccati quando esaminiamo l’idea «greca» che si erano formati Winckelmann e Goethe, e come riconosciamo la sua incompatibilità con quell’elemento da dove nacque l’arte dionisiaca con l’orgismo. Io sono certo infatti che Goethe avrebbe escluso, per principio, un’idea analoga dalle possibilità dell’anima greca. Pen conseguenza Goethe non comprendeva i Greci. Giacchè non è che attraverso i misteri dionisiaci, con la psicologia dello stato dionisiaco che si esprime la realtà fondamentale dell’istinto ellenico — la sua «volontà di vita». Cosa si garantiva l’Elleno con quei misteri? La vita eterna, l’eterno ritorno della vita; l’avvenire promesso e santificato nel passato; l’affermazione trionfante della vita al disopra della morte e del cambiamento; la vita vera come prolungamento collettivo con la procreazione, con i misteri della sessualità. È perchè il simbolo sessuale per i Greci era il simbolo venerabile per eccellenza, il vero senso pro-

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