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magnanimi fatti, ne ha dato il più bello esempio, degno veramente dell’antica regina del Mediterraneo. Ivi infatti si da mano con quel furore, con cui si distruggerebbe il nido d’un efferato nemico, ad atterrare i quartieri malsani, rifugio alla miseria alle malattie e spesso al delitto, e a costruirne de’ nuovi, ove al povero non manchi almeno, quel che la natura non negava neppure a’ bruti, l’aria e la luce. Ivi già innanzi che apparisse il cholera, dame e cittadioe si strinsero in pia società, con a capo la moglie del Re Vittorio, non solo per raccorre elemosine a favore del povero, ma anche per andare a distribuirle esse stesse di casa in casa. Venuto il cholera, una gara fraterna si accese tra’ cittadini, uomini e donne, signori e popolani; gara di beneficenze di sacrifizii di eroismi, che sollevava l’anima dalle miserie presenti alle origini pure e divine della umanità e a’ suoi immortali destini. Ah perchè gli uomini, solamente nelle grandi sventure, s’intendono e s’abbraccian fratelli? Ed ora Genova, che non si contentò di provvedere al presente, ma anche all’avvenire, ha iu ogni suo quartiere istituite caritatevoli consorterie, le quali per meglio soccorrere e affratellarsi il povero, lo visitano nelle loro case, non solo per isfamarlo o vestirlo, poichè nel gettare un boccone o una veste non istà mica la carità, poichè nel solo pane non vive neanche il povero; ma per confortare e illuminarne lo spirito, e addirizzarlo alla armonia di affetti miti e soavi.

Istituzione simile a questa non è nuova per la mia città, dove la beneficenza è tradizione antica cittadina, nè per altre città della Toscana. Ma perchè il pregiudizio l’ignoranza e la malignità beffarda le muove guerra?