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de’ medicamenti negli umani organismi, non meno che sugli elementi morbosi ch’entrano a far parte d’una malattia, e sulle loro cause possibili.
Fu detto già della cura opposta alla diarrea prodromica: il riposo, la dieta, le fomentazioni all’estremità e aromatiche sull’addome, qualche decozione di camomilla, e specialmente la tranquillità e il coraggio, che mi studiava infondere in altrui, compievano il più delle volte la cura prodromica.
Venuto il secondo periodo, o anche all’appressarsi di quello, era sollecito ad amministrare l’ipecacuana (da tre a sei grani ogni quarto o mezzo d’ora); l’ipecacuana, felice rimedio, che mi traeva fuori gran parte de’ prodotti morbosi dello stomaco, modificava alquanto la secrezione intestinale, risvegliava il polso depresso od estinto del lutto, e rianimando la circolazione e calorificazione periferica, mandava almeno un tepido raggio di vita non sempre fallace su corpi, che aveano freddo e pallore di morte. I lavativi d’acqua di crusca e camomilla, ove occorreva tenere attiva la secrezione intestinale, furono pure per me adoperati.
Ma quando, venendo a diminuire spontaneamente i due alti secretivi, prendevano il campo la cianosi e l’algidità, e i fenomeni adinamici, allora, non occorrendo più secondar la natura in questo lavoro eliminativo, subentravano i medicamenti analettici diffusivi, quali l’acetato d’ammoniaca con decozione di tiglio, l’alkermes, e finalmente quando potei averlo in pronto, l’austero vino di Bordò, schietto ne’ casi più lievi, ravvivato con tintura eterea di menta ne’ più gravi. Il vino di Bordò anzi può dirsi, che formasse base della cura anticholerica, nel periodo