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dalle intestina, per andare a stare nel cervello ne’ polmoni alla cute o dovecchessia. Una scuola meno fragorosa o ciarliera, ma più sapiente e modesta oramai ci ha insegnato, come debbasi andare a rilento nell’accettare simili nomi. Io poi nel caso mio godo potere affermare cosa acconsentita oramai dalla maggior parte de’ sani osservatori, che il cholera non ha presentato moto alcuno di crise o comecchessia somiglievole, col quale la malattia abbia fatto subita dipartita dal corpo infermo: ed ho sempre osservato una graduata e più o meno lenta risoluzione de’ fenomeni, anche ne’ casi in cui la malattia parve soffermarsi al primo e secondo periodo. Quanto alle metastasi è facile avvedersi, come l’illustre medico Francese, con la semplicità d’un novizio, sbagliasse per una simile contingenza i semplici epifenomeni o successioni o complicanze della malattia.


Al medico chiamato in luogo invaso da una malattia popolare due doveri, non meno sacro e grave l’uno dell’altro, si parano davanti. Il primo si è procacciare, i sani non ammalino, il secondo curare i già ammalati. Ma dove in questo il medico sventuratamente lotta sovente col male tentoni ed al bujo e con grande disparità di forze, nell’altro sa di proceder sempre per vie dritte ed aperte; mentre là l’arte e scienza medica appare fallace e meschina, qui veramente tiene del grande e del provvidenziale.

Spesso e profondamente ho meditato su quella tanta parte di scibile che chiamasi medicina, e ho sentito dentro me, quanto poco l’intelletto umano avesse ragione di superbire: ma ho sempre benedetto e creduto alla igiene,