bella vista di se, credevamo, una volta che il bene pubblico la domandava alla generosità d’un cavaliere, sarebbe stata prima concessa che chiesta. Ma non fu vero: l’umanità può avere le sue ragioni, e anche certi cavalieri o marchesi hanno le sue, alle quali io povero medico convien che m’inchini. Niun mezzo od argomento fu lasciato intentato: il Gonfaloniere ed il capo Ecclesiastico recaronsi supplichevoli in persona a Firenze, ma invano; io stesso instavo presso il superiore Governo, perchè, se un ricovero si dovesse aprire, alla villa s’aprisse, unico locale che allora si porgeva adattato. Ma gli animi eran chiusi; quindi anche la villa rimase chiusa. Intanto la cura a domicilio, per quanto il municipio provvedesse gl’infermi poveri di tutto il bisognevole, malamente contentava il medico per la inespertezza e infingardaggine degli inservienti mercenarii, per la impedita cura balnearia, che è tanta parte della cura anticholerica, e per altre molte ragioni che non si vogliono dire. Finalmente dopo quindici giorni di pratiche vane, e ventuno da che la malattia era apparsa in Barberino, fu dato di aprire alla meglio altrove un Lazzeretto; e di questo ne dovemmo saper grado al caso, che preparandosi in que’ giorni la Toscana ad evacuare gli Austriaci che guernivano Livorno, nè giudicando prudente il passo per Barberino, veniva a rimaner vacante il locale, riserbato ivi a caserma alle truppe transitanti. Sebbene attiguo da una parte all’abitato, angusto e male orientato, pure la mitezza che il male dimostrava in quegli ultimi dell’anno, e la speranza che il flagello presto si dileguasse, ci indussero (malgrado le paure e i romorii non