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in letto, perchè, più il male che la morte temendo, facessero l’animo deliberato e desiderassero di morire e presto, purché cristianamente e in grazia con Dio morissero; di qui, i malati a mala pena assistiti, perchè — tanto, dicevano, erano medicine e fatiche gettate, — coonestando così con parole vane sentimenti non retti; quindi, i cadaveri malamente e scompigliatamente da mascalzoni comprati trasferiti di corsa al cimitero, come se d’immondo carname si trattasse, e non di corpi umani lasciati da un anima immortale.
Queste cose racconto, non coll’intenzione d’accusarne davanti all’opinion pubblica i buoni abitanti di Barberino, i quali pur troppo, quando parole di ragione e di carità fraterna furono dette loro, mostrarono di sentirle, e ammendarono un primo traviamento con opere degne di popolo cristiano e civile. Ma le racconto a insegnamento, che al popolo non è sempre bene dir tutto, che i savii sanno o credon sapere; perchè facilmente ciò che nelle mani loro è un regolo, in man delle moltitudini diventa un flagello. Ma prima di entrare a discorrere della malattia, che brevemente si ma atrocemente perseguitò Barberino, mi giovi dire innanzi alcunché del luogo, sotto il riguardo fisico morale ed igienico.
Siede Barberino di Mugello sulla riva sinistra del torrente Stura, alto sopra il Mediterraneo 452 braccia, quasi nascosto fra poggi e colline ridentissime di vigneti. Una vasta piazza e una lunga e tortuosa via che le fa seguito formano il borgo di Barberino, cui siede a cavaliere sopra conica eminenza l’antico e forte castello, ora deliziosa villa Cattani. Oltrepassato il borgo, lungo l’antica