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DEL CAVALLARIZZO

cellenti, cavalli che tai mantelli hanno. Questi adunque dall’Ubero infuora, si comprendono sotto il nome di saginato; il quale se sarà misto bianco, & negro, & massime, che habbi testa, crini, coda, & gambe nere; & molto più se haverà alcuni segni lunghetti un mezzo dito ò poco più, ò meno sparsi per tutto il corpo, ancor essi neri; sarà cavezza over capo di moro perfettissimo, & naturale. Di tutti gli altri mantelli al mio giudicio eccellentissimo. Et se sarà mescolato il bianco col baio, ò col sauro sarà roano, così detto forse per esser rossano, che sincopato resta il nome roano; & massime peccando più nel rosso, che nel bianco; & se haverà la testa, i crini la coda & le gambe rosse, sarà ancora migliore. Ma se peccherà più nel chiaro, over lavato, non sarà così bono, & si potrà chiamar saginato chiaro. Et anche, che i roani, over saginati siano generalmente focosi, & soperbi per predominare in essi assai la colera, & che alcuni maestri eccellentissimi del cavalcare non gli habbino tenuti se non per cattivi; io però sono di opinione contraria, & tengo che siano molto perfetti. Ma con essi bisogna andare con molta modestia, & avertimento. Della bontà de’ quali si levò quel proverbio, che gli fa uguali in valore a i bai, che dice la va da baio à ferrante intendendosi per ferrante il caval roano, over saginato, io quale fu favoritissimo mantello del Re Ferrante d’Aragona, Re di Napoli eccellentissimo, & conoscitore de’ cavalli. Benche io creda che il proverbio uscisse da sì grande autorità, non di manco pò dire ancora, che và da uno, che parli molto, ad uno che afferri, & facci de’ fatti assai. Hor gl’uberi sono quelli, che hanno il pelo baio, ò sauro, & alle volte negro mescolato col bianco insieme, & hanno la testa, il muso, over sfacciature bianche, i crini, & la coda, & le gambe anco calzate bianche. Et ve ne sono ancora d’altra sorte, ma non accade in questo di prolungarsi. Questi cavalli uberi ordinariamente sono molto vaghi, & belli, & la loro bellezza deve dar segno della bontà, essendo la bontà sempre ò quasi congiunta insieme con la bellezza, secondo Platone. La qual bellezza sempre sia segno evidente della bontà, & dell’animo sincero, potendosi dire che la bellezza è il circolo & la bontà è il suo centro. Ma oltra la bellezza delle fattezze con la varietà de’ colori sopradetti, & misture si vede un’altra beltà, che dalle due dette rindonda; & la dimandano gratia, la quale è, quasi inesplicabile, & sommamente diletta gl’occhi dei riguardanti. Come si vede anco per dare esempio del cangiante, & massime ne gl’ormelini, che diletta molto, & à se tira l’occhio dell’uomo con meraviglioso piacere. Tra quali colori misti & varij più di vago, & di bello, & gratioso hanno gli uberi. Et benche a i segni, si veda, che non hanno molta forza; sono però cavalli nobili, di bono, & gran spirito. Il che li dà core, & forza à non rendersi così facilmente ne i maneggi, & nelle altre imprese loro. Sono docili, di bon volere, & credo